Latin & Hellas

In association with the Latin & Hellas website, essays and commentary on general economic issues, globalization, and political economy, with a special focus on Mediterranean Europe and Latin America.

Tuesday, February 21, 2006

Riflessioni sull'economia globale

Caro Maurizio,

ricordo che un paio d'anni fa or sono, nel 2003, parlavamo sull'economia e che, in particolare, di aver detto che, dopo il boom tecnologico ITC degli anni '90, non c'è più dove investire nel senso reale del termine (e non nel senso speculativo).

Ovviamente tale dichiarazione richiede una spiegazione dei dettagli fattuali che le sta dietro.

Condizioni politiche permettendo, comunicazioni instantanei mondiali significano che i grandi gruppi di potere - governi nazionali e imprese multinazionali, soprattutto - possono organizzare una divisione di lavoro proprio mondiale. Sotto queste condizioni, possono optimizzare l'allocazione delle risorse nei diversi settori: per esempio, da una parte, la produzione industriale di manufatti in aree dove la manodopera costa meno (ora Asia - Cina e India in testa - rispetto ai centri di vecchia industrializzazione quale Europa, America anglofona e Giappone) e, dall'altra parte, nello sviluppo, disegno e pianificazione dell'applicazione delle tecnologie che le stanno dietro in aree dove l'istruzione universitaria e la conoscenza sono ad un più alto livello di qualità, cioè ancora, per ora, negli stessi vecchi centri di industrializzazione.

Intanto, questi stessi vecchi centri di industrializzazione - proprio vecchi anche nel senso demografico - importano persone di bassa istruzione per lavorare nel settore dei servizi di basso livello e della costruzione. In particolare, gli Stati Uniti importano non solo merci di basso costo dalla Cina, ma anche persone a basso costo da Messico ed il resto dell'America Latina. Pure l'Europa, sebbene a misura minore e con riluttanza, importa tali persone dall'Africa, dall'Asia occidentale, dall'Europa centrale, ed in alcuni casi (la Spagna e l'Italia) anche dall'America Latina, tutte aree dove la demografia è "giovane", però manca un'industrializzazione forte, come ora nell'India e nell'Asia orientale.

Fin'ora tutto molto bene: l'investimento nella tecnologia ITC significa merci e servizi ad un costo più basso e quindi, nell'aggregato più alta produttività per tutti e una più alta qualità di vita per tutti su una scala relativa mondiale, almeno in principio, inclusi anche, e forse in particolare, i lavoratori "intellettuali" nei paesi di vecchia industrializzazione. Forse gli unici veri perdenti in questo scenario sono i lavoratori di bassa istruzione impiegati nella produzione di manufatti basata negli stessi vecchi centri di industrializzazione, ma ci sono anche programmi di riqualificazione e comunque molti di questi sono vicini al pensionamento.

Però, in questo scenario ci sono diversi problemi di natura economica, politica, e di struttura sociale, problemi che si riflettono anche sullo scenario finanziario. Di seguito, riassumo solo alcuni aspetti dei problemi più importanti su questi quattro piani.

Sul piano economico, mi concentro sull'offerta ed il costo dell energia, settore che riafferma la sua centralità negli affari umani dal momento che, da una parte, c'è bisogno di alimentare il crescente numero di fabbriche in paesi quale la Cina e, dall'altra, c'è bisogno di trasportare tutta questa mercanzia ai centri di consumo oltre mari e monti. Poi si può aggiungere il bisogno di riscaldare le case dei vecchi pensionati nei paesi di vecchia industralizzazione (pensionati non tanto vecchi in alcuni paesi, in particolare nell'Europa occidentale, Italia in testa) e alimentare il loro SUV, ecc.

Già allora sorge un problema politico: le fonti tuttora più efficienti dell'energia (petroleo e gas naturale) si trovano per la maggior parte dentro o all'intorno di paesi dove importanti gruppi aspiranti di potere, con altra ideologia - che certi gruppi di potere già stabiliti marchiano come "terroristi" - vogliono, appunto, aumentare e officializzare il proprio potere, e quindi per raggiungere questo scopo fanno guerra, la cui posta in gioco ed il prezzo dell'energia, a chi venderla, e come ridistribuire il reditto così generato.

Ovviamente mi riferisco ai paesi arabi, e a quelli che si estendono dall'Africa nordorientale fino all'Asia centrale e persino Indonesia, ed agli Islamisti. C'è qualcosa di simile in atto anche nell'America Latina, anche se non al livello di una guerra calda e con ideologie più miti, in particolare in Venezuela (il quinto produttore mondiale di petrolio) ed ora in Bolivia (recentemente scoperte enormi quantità di gas naturale) di cui più in seguito. Lotte in Paesi africani come Nigeria ed Angola possono altrettanto essere viste in questo contesto.

Rivolgendomi ora al problema della struttura sociale, vorrei sottolineare un fenomeno generale e uno particolare che ci riguarda anche personalmente. Il punto generale è che storicamente, parlando di grandi gruppi di potere, qualsiasi cambiamento nelle relazioni territoriali per motivi di cambiamenti tecnologici e/o economici e/o sociopolitici, comporta anche la sfida di come gestire i potenziali e reali cambiamenti sociali all'interno del territorio dei rispettivi grandi gruppi di potere che ne risultano.

In quanto al fenomeno particolare, ricordo, come accennato sopra, l'investimento nella tecnologia ITC significa merci e servizi ad un costo più basso e quindi, nell'aggregato più alta produttività per tutti e una più alta qualità di vita per tutti su una scala relativa mondiale, almeno in principio, inclusi anche, e forse in particolare, i lavoratori "intellettuali" nei paesi di vecchia industrializzazione.

Però in realtà non è tanto semplice, nè è tanto semplice capire la realtà e forse ancora meno descriverla in un'economia di parole. Comunque ci provo, come l'Iddio comanda.

Ovviamente le società di prima (vecchia) industrializzazione non possono portare avanti i modelli sociali sviluppati verso la fine del dicianovesimo secolo e durante il ventesimo secolo, soprattutto quello del dopo seconda guerra mondiale fino alla fine della guerra fredda. Allo stesso tempo, i gruppi di poteri stabiliti - nè nei paesi di prima industralizzazione, nè nei paesi emergenti, nè nei paesi cosìdetti sottosviluppati (mi riferesisco in particolare all'America Latina), nè nei paesi "tradizionali" (mi riferisco soprattutto ai paesi arabi) - non vogliono perdere controllo durante questa fase di trasformazione dell'economia globale.

Un metodo di controllo provato per tutta la storia da duemilacinquecento anni - e qui mi rivolgo allo scenario finanziario - è l'indebitamento sociofinanziario, assieme al suo socio, l'inflazione: cioè, in altre parole, il controllo dell'offerta di moneta, del mezzo di scambio, dell'unità di conto e della riserva di valore materiale. (C'è anche il metodo militare, tutt'ora impiegato, tra ancora altri metodi di controllo.)

In principio, merci e servizi ad un costo più basso e più alta produttività al livello aggregato dovrebbero significare un livello di prezzi stabile o anche una leggera deflazione. In tale scenario, ci potrebb'essere per tutti una vera più alta qualità di vita su una scala relativa mondiale, inclusi anche, e forse in particolare, i lavoratori "intellettuali" nei paesi di vecchia industrializzazione. Immaginati che cambiamenti sociopolitico-culturali ci potrebbero essere attraverso una vera liberazione di intelletto creativo, temperata da una sensibilità di mantenere quello che ha conservato vero valore morale e culturale attraverso i secoli.

Però la volontà degli attuali grandi gruppi di potere è che non ci siano cambiamenti fondamentali negli assi portanti degli attuali modelli sociopolitici, basati sull'ideologia culturale del materialismo consumistico - della variante capitalista, socialista, o comunista (cosìdette) che sia -, attraverso la mera estensione mondiale del modello economico dell'industrializzazione organizzazata da una combinazione di mercati liberi e intervenzione statale. L'unica alternativa offerta dall'attuale agenda politica mondiale sarebbe l'Islamismo radicale, che nella mia opinione significherebbe, in poche parole, il rovescio dei guadagni della rivoluzione industriale di questi ultimi duecento anni.

Invece, assumendo che i gruppi di potere stabiliti vincano la guerra contro l'Islamismo radicale, la struttura sociale continuerà a trasformarsi verso una struttura che combini i guadagni della rivoluzione industriale di questi ultimi duecento anni su una scala mondiale sul campo economico - analogamente si sono diffusi i guadagni della rivoluzione agricola da diecimila anni fa - con un crescente divario tra gruppi di ricchezza/reditto (pochi iperricchi e molti relativamente poveri) ed una classe media (inclusi i lavoratori intellettuali) sempre più piccola, proprio somigliante ad una struttura sociale agricola "tradizionale".

E gli strumenti chiavi nell'attuare tale trasformazione sono il controllo dell'offerta dell'energia (ad altre materie prime) e poi il controllo dell'offerta di moneta, l'indebitamento, e l'inflazione (e quindi anche controllo della manipolazione dei dati sull'inflazione resi pubblici, che implica anche il grande campo del controllo del mass media).

Così, le classi lavoratrici, intellettuali e non, saranno fissi e/o flessibili nei loro posti, fisici nonchè socioeconomici, a volontà dei dirigenti dei grandi gruppi di potere (rule by telecommand), sotto il dominio di un'ideologia materialista consumistica, al livello mondiale.

I dettagli, tra altri, di tale attuazione sono, nei paesi di prima industrializzazione, negli alti costi dei sistemi pensionistici, sanitari e universitari, nelle bolle speculative nei prezzi dei beni (asset price bubbles) - dieci anni fa nelle azioni, ora nel mercato immobiliare residenziale -, e nella diffusione attraverso il sistema bancario del credito al consumo e dell'indebitamento delle famiglie e la manipolazione soprattutto dei dati sull'inflazione, e, al livello mondiale, nei movimenti migratori, soprattutto verso i paesi di prima industrializzazione.

In poche parole, ci sarà, ad un certo punto, più equilibrio nella produzione di beni manufatti e servizi tra le diverse aree del mondo (ed anche, quindi, nella bilancia dei pagamenti): la presenza di fabbriche tornerà a crescere nell'Europa e negli Stati Uniti, ma i lavoratori non saranno necessariamente i discendenti degli pensionati attuali e di prossimo futuro, e i relativi costi sociali saranno di proporzioni minori rispetto a quelli dei modelli in vigore da diverse generazioni nei paesi di prima industrializzazione.

Riassemendo, dunque, il ricordo dell'apertura, vedo l'investimento e l'applicazione al livello e sulla scala mondiale della tecnologia ITC negli ultimi quindici o vent'anni e dalla fine della guerra fredda come una seconda onda della rivoluzione industriale, le cue implicazioni sociali, politiche e economiche sono ancora da determinare (vedi conflitti militari, speculazioni finanziarie, disequilibri nella bilancia dei pagamenti tra i vari paesi, indebitamento pubblico e privato, i tentativi di gestire cambiamenti climatici reali e immaginati, tra altri fenomeno che generano incertezze).

Però per il futuro prevedibile, forse i prossimi cinquanta-cent'anni, nella mia visione attuale almeno, avremo una struttura sociale che combina i guadagni dell'industrializzazione degli ultimi duecento anni con alcuni aspetti sociali che assomigliano a quella delle società agricole "tradizionali", basata, però, su una dominante ideologia materialista consumistica in mano ai grandi gruppi di potere attuali, lasciando la conservazione della cultura ed i valori morali agli sforzi di gruppi più piccole ed agli individui che hanno ancora il tempo, la volontà e la forza.

E questo spazio ci sarà: i grandi gruppi di potere attuali sono, appunto, grandi e potenti, però non sono totalitari (vedi il nazismo, il comunismo e l'Islamismo radicale), e una buona parte dei dirigenti di questi gruppi vedono anche loro un proprio beneficio nel lasciare libera una parte di questo campo della vita umana sulla terr

Ora di seguito alcune osservazioni, nel quadro dello scenario delineato, sulla situazione economicosociale nelle regioni ed in alcuni paesi dove mi sono goduto del privilegio - grazie anche all'investimento nella tecnologia ITC in questi ultimi quindici/vent'anni - di vivere, lavorare e studiare.

Come noto, nell'Europa c'è in atto da ormai diversi anni una lotta tra quelle forze sociali che vogliono conservare il più possibile il modello sociale di cui sopra, da una parte, e quelle che sono in una posizione di guadagnare dalla mondializzazione dell'economia, dall'altra (a volte forze sovraposte e contradittorie tra di loro, come spesso succede nella politica).

Il risultato finora in paesi come l'Italia, con sistemi sociali rigidi (compresi il sistema politico, la burocrazia ed il mercato di lavoro in particolare) è che la società sta consumando la ricchezza generata nel passato ad un tasso più rapido di quello al quale sta generando nuova ricchezza, ed i giovani trovano relativamente poco spazio per esprimere guadagnevolmente i propri talenti, e cioè in posti di lavoro che pagano bene e nella formazione di nuove imprese di successo (invece di essere soffocate dalla burocrazia prima di generare anche un euro di profitto), permettendogli di facilitare la formazione di nuove famiglie. Vedo che le imprese italiane che stanno prosperando sono proprio quelle che sono coinvolte nell'economia mondializzata, anche nei settori tradizionali dell'Italia moderna, come la moda e il settore tessile, ma altrettanto la costruzione di infrastutture in settore chiavi come energia e trasporto, tra alcuni altri.

Una possibile soluzione per l'Europa domestica rispetto ad una società più flessibile ed un aumento della produttività, mantendendo allo stesso tempo le medesime aspettative dello standard di vita, sarebbe un ritorno al protezionismo del passato, una fortress Europe, che dovrebbe, comunque, trovare una soluzione ai suoi bisogni energetici, forse integrandosi di più con la Russia, l'Asia centrale, e possibilmente anche con paesi come Iran, quotando il prezzo del petroleo in euro.

Per quanto riguarda gli Stati Uniti, sembra che ci sia un consensus politico quasi totale che la mondializzazione è l'unico sentiero avanti. Quindi l'aspetto che colpisce di più è il cambiamento della struttura sociale in atto. Mi sembra la chiave per evitare la servitù della gleba al livello di famiglia/individuale è quella di evitare l'indebitamento per un eccesso di consumo (con implicazioni anche morali).

La speculazione nel mercato immobiliare residenziale non è più sostenibile. Come risultato a lungo termine della sovraproduzione di case troppo grandi negli ultimi sette anni circa vedo la suddivisione di dette costruzione in case multifamiliari ed un cambiamento delle leggi sull'urbanistica (zoning laws), permettendo piccole attività industriali e commerciali in zone che finora sono strettamente residenziale - somigliante a quello che avevo visto nei villagi portoghesi solo sette o otti anni fa e quello che vedo come il modello dominante nell'America Latina - in parte per contrastare gli eccessivi costi di trasporto (commuting al posto di lavoro, in alcuni casi, oggi come oggi, fino a due ore solo andata) e di sostenere i costi (carry costs) di dette costruzioni in termini di debito ipotecario, spese di energia (luce, riscaldamento, condizionamento dell'aria), imposte locali sulla proprietà, assicurazioni, manutenzione fisica ed altri fattori, spese tutte che sono andate o stanno andando alle stelle negli Stati Uniti, per non parlare di spese sanitarie e di istruzione universitaria.

Una via di uscita per sia gli Stati Uniti che l'Europa, a parte una recrudescenza del protezionismo sia commerciale che immigratoria, sarebbe nuovo investimento in ed applicazione diffusa di una nuova(e) forma(e) di energia e di trasporto. Però nella struttura politica economica attuale nella quale domina il grande petroleo, non vedo tale cambiamento su un orizzonte visibile.

Per quanto riguarda l'America Latina invece, giudicando da quello che vedo finora in solo un paese, l'Ecuador, ho imparato quello che vuol dire un paese "sottosviluppato" (possiamo ormai scartare il termini "terzomondo" e per diversi motivi): c'è sviluppo industriale però ad un passo molto più lento, rispetto ai paesi di prima industrializzazione, nel mezzo di una classe dirigente con una mentalità "tradizionale agricola" che allo stesso tempo mantiene forti legami culturali e politici, nonchè economici e finanziari, con il "vecchio mondo" Europe e gli Stati Uniti.

Però, in contrasto, l'America Latina mantiene in un modo molto più diffuso alcuni aspetti della vecchia cultura "agricola tradizionale" che proprio valgono la pena di conservare, a mio modo di vedere, come la famiglia e l'arte di godersi la vita nonostante le condizioni materiali. Osservo questo riferendomi ad un concetto di ricchezza e povertà relative e con tutto rispetto per quelli che soffrono davvero una povertà assoluta. Ripeto, c'è sviluppo industriale nell'America Latina, anche se ad un ritmo molto lento, e soprattutto c'è mica una mancanza di cibo ed in molti ambienti il clima è favorevole alla dolce vita a gente che ci sa fare nel proprio modo; quello che manca, invece, in poche parole, sono istituzioni sociali (politiche ed economiche) che permetterebbero alla grande masse di persone di raggiungere un livello di vita materiale "goduto" da quelle dei paesi di prima industrializzazione.

Però, nella mia opinione, tale livello di vita materiale è sopravvalutato, non solo oggigiorno in termini di mercato, ma soprattutto in termini umani, e la gente nei paesi di prima industrializzazione continua a pagare un prezzo troppo alto in termini di rigidità sociale (la mancanza di libertà?) per conservare il sistema, anche dovuto a nozioni di propaganda nazionalista, snobbismo e addiritura puro razzismo: un poco di multilinguismo personale ed vera esperienza in situ vanno lontano nell'aiutare ad valorizzare i modi di vita altrui, allo stesso tempo augurandogli i frutti più dolci (e non quelli amari) dei sistemi dei paesi di prima industrializzazione, intanto che conservano le proprie tradizioni di vero valore.

In questo contesto, alcuni trend politici attuali in America Latina forse meritano un commento, anche se, a mio modo di vedere, il tema sottostante è quello di sempre: le classi dirigenti, di qualsiasi gusto in termini di propaganda politica, sono sinceri e hanno la capacità di trasformare il reditto generato da poche commodity in istituzioni sociali durevoli che siano in grado non solo di dare ad una quota sempre più alta delle rispettive popolazioni uno standard di vita materiale più alto, ma anche più opportunità di crescere, di esprimere i propri talenti, in un'economia più diversificata e competitiva nel contesto mondiale? O si tratta del solito populismo la cui forza economica si basa in un boom del prezzo di una singola commodity destinato a rientrare a secondo del trend internazionale, terminando con la defenestrazione del demagoga di turno? Oggi come oggi mi riferisco in particolare a Hugo Chavez di Venezuela ed ultimamente a Evo Morales di Bolivia.

Certamente più integrazione regionale renderebbe ciascuno di questi paesi più competitivo al livello mondiale, e forse Brasil è l'esempio guida in questo senso, essendo anche l'unico paese in grado di essere da solo una potenza economica mondiale, non solo per la sua dimensione territoriale ma anche per la qualità della sua industria e la sua capacità nella ricerca e sviluppo. Altri paesi stanno tentando di combinare l'integrazione regionale con apertura commericiale internazionale: mi referisco in particolare all'accordo di libero commercio tra i paesi dell'America centrale (più la Republica Dominicana) con gli Stati Uniti, il negoziato per un accordo analogo tra i paesi andini - Colombia, Ecuador e Perù - con gli Stati Uniti (le firme finali sono attesi quest'anno 2006), gli accordi di libero commercio con Chile ed il NAFTA di Messico, e poi, infine, ci sono accordi analoghi in fase di negoziato tra diversi paesi/regioni latinoamericani e l'Unione Europea.

Vale la pena menzionare che, almeno nell'Ecuador che vedo, fra quelli che prosperano di più sono quelli coinvolti in qualche maniera con l'economia mondiale, che sia attraverso emmigrazione e le rimesse che mandano nel paese d'origine, o attraverso il commercio.

Quindi, anche una combinazione di socialismo populista e mercato libero in regime di economia aperta sarebbe bene in principio. La questione rimane se le classi dirigenti latinoamericane siano in grado di dare alle rispettive società istituzioni sociali adeguate per lo scenario mondiale attuale e, perlomeno, frenare la corruzione che tanto punisce quella che è per la maggior parte buona gente.

Per quanto riguarda i paesi dell'Asia orientale ed India, ovviamente non posso fare osservazioni personali, limitandomi invece ad alcune di carattere generale. Prima, mi sembra che il divario nel livello della vita materiale tra un lavoratore asiatico ed un lavoratore di un paese di prima industrializzazione sia destinato a restringersi con il tempo. Intanto, questi paesi si stanno migliorando sia in termini militari che in termini di tecnologia propria (miglioramento riflettuto anche nello sfero della ricerca universitaria autonoma).

Tale sviluppo rafforza l'idea e la realtà che i sistemi dei paesi di prima industrializzazione siano ormai o comunque saranno, sovravvalutati e dovranno mantenere la propria egemonia attraverso una combinazione di propaganda, ulteriore sviluppo tecnologico e di tecnici gestionale, e forse soprattutto un riinvigorire sociale. Altrimenti il loro destino potrebb'essere quello di diventare giocatori di secondo piano in un sistema globale dominato dagli asiatici, lontanamente più numerosi, intanto che i cinesi ci ridono sopra della guerra tra "l'Occidente" e gli arabi per determinare chi vendrà al loro le materie prime, energia in testa, per lo sviluppo industriale attraverso il quale verrebbero a dominare su tutti.

In tutto questo contesto, al livello personale di uno che, in qualche maniera, fa parte di quella classe media che si sta diminuendo in numero ed in importanza, almeno rispetto alla società dei paesi di prima industrializzazione durante gli ultimi cent'anni più o meno, direi che i rischi e le opportunità – sia in termini di mera soppravivenza, sia in termini economici generali, sia in termini di scelte morali personali – non sono molto differenti rispetto a situazioni sociali analoghe del passato. Sto pensando in particolare dell'Impero Romano dei primi due secoli rispetto a terzo secolo, per esempio. Comunque spesso nella storia c'è la lamentela della sparizione di una sorte di classe media o altra. Apparentemente i destini dell'umanità non si giocano all'intorno su questo punto, ci sono cose più importanti, anche al livello individuale. Nonostante, mi ricordo sempre qualcosa che ho letto rispetto all storia egiziana, una lettera di un padre scritto ad un figlio, conservata nelle sabbie del deserto, proprio durante l'alba della storia scritta, in cui esorta al figlio che diventi una scriba, cioè che sappia leggere e scrivere, che conosca le lingue, perchè tale conoscenza gli darebbe le capacità e la flessibilità di sopravvivere nel mondo dei grandi gruppi di potere, dei faraoni, vecchi e nuovi.

Pace dell'anima a tutti.

Latin & Hellas ™

4-5 gennaio 2006

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